Storia della chirurgia del plesso brachiale
Il plesso brachiale in epoca antica e nel Medioevo
In Tucidide, nella Storia della guerra del Peloponneso (V secolo A.C. – ante Christum natum) e in Omero nell’Iliade (VIII secolo A.C.), troviamo i primi cenni di lesione del plesso brachiale causati da traumi alla spalla.
Nel I secolo A.C. a Roma, Galeno descrive la prima diagnosi e trattamento conservativo in una paralisi traumatica del plesso brachiale, esitata con il recupero della sensibilità alla mano.
Nel XV e XVI secolo numerosi furono gli studi anatomici, compresi quelli di Leonardo da Vinci, che caratterizzarono il Rinascimento Europeo, ma ciò non si tramutò in un cambio dell’approccio al trattamento delle paralisi del plesso brachiale che rimase attendistico e conservativo.
Gli studi anatomici del 1800
Gli studi anatomici proseguirono e furono ulteriormente migliorati nel tardo 1800.
Nel 1827, Flaubert per primo descrisse come risultato di una autopsia una lesione traumatica del plesso brachiale con avulsione radicolare associata lesione arteriosa associata ad una manovra di riduzione di lussazione di spalla inveterata.
Nel 1861 Duchenne descrisse per la prima volta la paralisi del plesso brachiale causata durante le manovre per il parto (paralisi ostetrica del plesso brachiale) e nel 1875 Erb descrisse la paralisi isolata del tronco superiore (C5-C6), definita paralisi alta del plesso brachiale.
Augusta Déjerine-Klumpke, prima donna al mondo a diventare chirurgo, descrisse nel 1885 la paralisi bassa del plesso brachiale (C8-T1).
Fu durante la Guerra Civile Americana (1861-1865) che fu coniato il termine causalgia per indicare un forte dolore neuropatico associato alla lesione del plesso brachiale.



I progressi del XX secolo
Nel 1900, William Thorburn descrisse la prima sutura diretta per una lesione al braccio di un sedicenne causata da una fresatrice. Dopo 4 anni, recuperò una buona flessione del gomito e polso, ma minima funzione della spalla e nessuna della mano.
Nel 1903 Harris and Low per primi parlarono di neurotizzazione, ovvero di transfer nervosi (nerve transfer) nelle avulsioni radicolari del Plesso Brachiale.
Tuttle nel 1907 sfruttò per primo una neurotizzazione extra plessuale usando la IV radice cervicale.
Si pensa che agli inizi del 1900 molti utilizzarono la tecnica della neurotizzazione, ma non ci sono report e i risultati nel trattamento delle lesioni del plesso brachiale furono molto scarsi. Ciò fu dovuto alla complessità e ai lunghissimi tempi di intervento, oltre che al difficile training per il chirurgo. Per tali motivi, questa chirurgia non venne vista di buon occhio e in gran parte fu abbandonata.
Sempre nel 1903 Kennedy eseguì il primo intervento su una lesione di plesso brachiale ostetrica.
Frazier e Skillern nel 1911 descrissero una emilaminectomia in un paziente con dolore caratteristico da avulsione del plesso.
A quel tempo sia per i risultati sconfortanti sia per l’alto tasso di mortalità e di morbilità, questa chirurgia fu abbandonata, fino alla Seconda Guerra Mondiale che impose la rivalutazione nel trattamento di questa lesione, a causa di un grande numero di soldati che soffrì di lesioni del plesso brachiale (da vari tipi di proiettile e da taglio), risvegliando in tal modo le coscienze tra molti chirurghi.
Nel 1943 in Inghilterra venne istituita la Nerve Injurues Committee nella quale figuravano nomi eccellenti passati alla storia, come Seddon, Learmonth, Platt, Bonney, Highet, Zachary, Sanders, etc…
Questa commissione redasse il famoso memorandum no. 45: Aids to the examitation of the peripheral nervous system che avrebbe cambiato per sempre l’approccio alle lesioni nervose, descrivendo la scala di misurazione della forza muscolare graduata da M0 a M5.
L’italiano Scagletti nel 1947 operò una lesione di plesso brachiale da proiettile.
I risultati però continuavano ad essere scarsi come si evince dall’articolo di Seddon che nel 1947 pubblicò su di un metodo di ricostruzione del plesso con un lungo innesto di nervo autologo, seguito da uno scarso recupero clinico.
Strange nel 1947 descriveva gli innesti nervosi peduncolati. Lurije, un chirurgo russo, nello stesso periodo eseguì il primo transfer nervoso di nervo toracico lungo sul nervo sovrascapolare (SSC), di nervi toracici anteriori sul nervo muscolocutaneo (MC) e rami motori del tricipite brachiale sul nervo ascellare. Queste tecniche, in particolare l’ultima è di grande utilizzo ai giorni nostri.
Fu anche grazie a nuove metodiche diagnostiche (mielografia cervicale nel 1947), la elettromiografia (EMG) nel 1948 e la misurazione dei potenziali evocati nel 1949 che si arrivò ad una migliore comprensione delle lesioni e di una loro classificazione.
Nel 1960 Seddon, grazie all’aiuto del premio Nobel per l’immunologia JZ Young, crearono la colla di fibrina, utilizzata anche oggi per le suture nervose e nel 1963 descrisse l’utilizzo dei nervi intercostali sul nervo muscolocutaneo per il recupero della flessione del gomito.
Purtroppo, nonostante gli incoraggianti risultati chirurgici di Seddon e di Davis, la comunità scientifica di allora propendeva per un trattamento conservativo e non chirurgico.
Questo concetto fu ribadito nel 1966 alla X riunione della SICOT (società internazionale di chirurgia ortopedica e traumatologica) tenutasi a Parigi, dove in una tavola rotonda capeggiata da Merle D’Aubigné e Seddon, si stabilì che l’esplorazione chirurgica non aggiungeva beneficio alla diagnosi e alla prognosi e la riparazione nervosa non solo era essenzialmente impossibile, ma non assicurava risultati efficaci e utili.
In caso di lesione certa da avulsione radicolare, il trattamento standard era l’amputazione del braccio, l’artrodesi della spalla e il confezionamento di una protesi estetica.
Se la diagnosi di lesione da avulsione radicolare non fosse stata certa, si sarebbe dovuto aspettare almeno due anni nella speranza di un recupero spontaneo.
Seddon propose una esplorazione chirurgica precoce, avrebbe potuto stabilire prima il tipo di lesione (avulsione radicolare o meno) e anticipare eventualmente i trattamenti di cui sopra. La neurolisi interna non era indicata per la paura di danneggiare ulteriormente nervi che avrebbero potuto recuperare spontaneamente.
Nello stesso periodo, fortunatamente si stavano sviluppando le tecniche microchirurgiche applicate alla riparazione nervosa, grazie anche all’avvento del microscopio operatore e di strumenti e materiali di sutura sempre più piccoli che permettevano riparazioni sempre più precise, alcuni Pionieri che, dapprima in Austria e Svizzera, poi in Francia, Italia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, si dedicarono con entusiasmo allo studio e alla chirurgia delle lesioni del plesso brachiale, nacque la chirurgia moderna di queste lesioni.
Finalmente, negli anni Settanta Moberg, Michon, Narakas e Millesi pubblicarono studi che dimostrarono che non solo la riparazione nervosa del plesso brachiale dell’adulto attraverso innesti nervosi, era possibile, ma che poteva dare buoni risultati in termini di recupero motorio.
Seguirono negli anni Ottanta, le pubblicazioni di Alnot e Gilbert sulla riparazione delle lesioni del plesso brachiale ostetrico.
Questi risultati destarono interesse nella comunità scientifica e finalmente fu infranto il tabù che una lesione di plesso brachiale non potesse essere oggetto di riparazione nervosa.
Siamo arrivati così ai giorni nostri...
Negli ultimi trent’anni le tecniche chirurgiche sono migliorate, le tipologie riparative si sono molto uniformate e i buoni risultati sono aumentati in modo rilevante: scrivere oggi che la riparazione chirurgica delle lesioni del plesso brachiale è inutile perché senza risultato è non solo errato, ma decisamente anacronistico.
Restano comunque in questa patologia molte “zone oscure” e differenze di opinioni, talora rilevanti, su molti aspetti.
La storia ci ha mostrato che dopo un iniziale entusiasmo pioneristico volto alla riparazione delle lesioni del plesso brachiale, la mancanza della conoscenza dei vari tipi di lesione, di una classificazione, di idonei mezzi diagnostici e di strumenti ottici di ingrandimento, nonché di strumenti chirurgici come i fili per la microchirurgia, il mondo accademico internazionale si è come preso una pausa di riflessione, nell’attesa che il progresso fornisse i giusti mezzi sia diagnostici che terapeutici, per un adeguato trattamento sistematizzato delle lesioni del plesso brachiale.
Oggi, la chirurgia del plesso brachiale si sta spostando sempre più, dalla riparazione anatomica con innesti, verso la neurotizzazione extraplessuale secondo il principio di convertire una lesione prossimale in una distale. Ovvero, per favorire una più rapida reinnervazione del muscolo paralizzato, si esegue una sutura diretta tra nervo donatore e nervo ricevente (neurotizzazione), quanto più vicino possibile al muscolo da reinnervare.
Ne sono esempio la neurotizzazione del fascicolo per il flessore ulnare del carpo (FUC) del nervo ulnare sul ramo motore del nervo muscolocutaneo (MC) per rianimare il muscolo bicipite brachiale (tecnica di Oberlin 1994), potenziata nel 2005 dalla dr.ssa Mackinnon che suggerì di associare anche la neurotizzazione del fascicolo per il flessore radiale del carpo (FRC) del nervo mediano sul ramo motore del muscolocutaneo per rianimare il Brachiale. In questo modo un doppio transfer nervoso ottiene una più forte flessione del gomito.
Nel 1989 Gu descrisse il transfer di tutta la radice C7 controlaterale o parziale come descrisse la dr.ssa Terzis nel 1996, per fornire opzioni ricostruttive nel caso di una lesione completa di plesso brachiale con avulsioni radicolari multiple.
Di fronte a nuove proposte chirurgiche, è doveroso però mantenere cautela e prudenza.
Tra 20 anni sarò curioso di leggere cosa dirà la storia di questo periodo e verso quali orizzonti guarderà la scienza.