L’epicondilite o gomito del tennista
Trattamento conservativo dell'epicondilite
Il trattamento dell’epicondilite, in prima istanza, è sempre conservativo.
Quello tradizionale, previsto in caso di patologia infiammatoria, prevede l’applicazione di ghiaccio, la terapia con anti-infiammatorio, il riposo e l’utilizzo di un tutore per il gomito. Inoltre, è importante astenersi dal gesto reiterato che ha provocato l’infiammazione tendinea.
Sono, poi, previste terapie fisiche come onde d’urto focalizzate, laserterapia, tecarterapia, che affiancano – o sostituiscono se risolutive – le infiltrazioni cortisoniche, che storicamente accompagnano la cura dell’epicondilite.
Onde d'urto
Tra le terapie fisiche, quella d’elezione è costituita dalle onde d’urto focalizzate, che oltre avere un’azione diretta legata alla disgregazione delle microcalcificazioni che si possono creare nei tessuti infiammati, esercitano un’azione indiretta sui tessuti trattati, innescando la produzione di radicali liberi e di ossido nitrico, che svolgono un’azione vaso dilatante e neoangiogenetica. L’effetto antinfiammatorio svolto da questa terapia fisica è legato alla neoangiogenesi, ovvero all’incremento della vascolarizzazione di questi tessuti, e quindi di flusso sanguigno, che determina un effetto di wash out, cioè di eliminazione delle sostanze infiammatorie che si sono formate nel tessuto trattato. Rispetto ad altre terapie fisiche, l’effetto delle onde d’urto è più duraturo e stabile nel tempo. Controindicazioni assolute sono la presenza di ferite, di lesioni sulla sede da trattare, l’essere pazienti portatori di pacemaker o con una storia di epilessia.
Infiltrazioni con cortisone
I benefici delle onde d’urto sopravvengono dopo alcune settimane dalla fine del trattamento. Quando l’impotenza funzionale è molto marcata e il paziente ha la necessità tornare a svolgere la propria attività nell’immediato, il trattamento infiltrativo con cortisonici consente di avere un effetto antidolorifico e antinfiammatorio più ampio. L’infiltrazione è comunque una terapia invasiva che deve essere valutata caso per caso, ed utilizzata solo quando esistano le condizioni di una reale necessità. Si possono usare entrambe le terapie, infiltrazioni e onde d’urto, anticipando queste ultime con 1-2 infiltrazioni di cortisone, in modo che il trattamento con le onde d’urto avvenga in condizioni di minor infiammazione. La terapia infiltrativa può essere inoltre utilizzata in una seconda fase, nei casi più difficili, se le terapie stentano ad avere effetti perché, per esempio, il paziente, per motivi lavorativi, non può astenersi da quelle attività che hanno provocato l’epicondilite. In questi casi si possono integrare le onde d’urto con delle infiltrazioni di cortisone che hanno un effetto più rapido.
Infiltrazioni di gel piastrinico
Il gel piastrinico, noto con l’acronimo PRP (Patelet-Rich Plasma) è un prodotto di derivazione ematica che si ottiene usando direttamente il sangue del paziente. È indicato nel caso di lesioni cartilaginee, artrosi, tendinopatie, perché le piastrine contenute nel PRP rilasciano sostanze che promuovono la riparazione tissutale ed influenzano il comportamento di altre cellule, modulando l’infiammazione e l’angiogenesi. I meccanismi di azione del PRP sono legati al rilascio lento e continuo dei fattori di crescita presenti in abbondanza nel gel piastrinico. Questi richiamano nuove cellule, che si trasformano in nuovi vasi sanguigni e nuovo tessuto con conseguente riparazione dei tessuti. I risultati nel trattamento dell’epicondilite con infiltrazioni di PRP sono estremamente discordanti in letteratura. In alcuni studi, la sua efficacia risulta superiore alle infiltrazioni cortisoniche, in altri, inferiore.
In generale, il PRP ha un inizio di efficacia più lento, ma un effetto a medio lungo termine più duraturo rispetto al cortisone, che invece garantisce una riduzione del dolore pressoché immediata, ma dura meno nel tempo. È proprio il beneficio ritardato e a volte nullo e il costo, al momento elevato, che rendono questa terapia poco apprezzata da parte dei pazienti e pertanto poco utilizzata.
La rieducazione funzionale
Spesso l’epicondilite si associa a problemi nei distretti vicini, determinati da un uso non corretto del polso o dell’avambraccio, a volte causato da problematiche di spalla. L’epicondilite può, inoltre, associarsi anche ad una sindrome della cuffia dei rotatori, a cervicalgie a livello C5-C6-C7 o a patologie del polso. Per questo, quando la terapia conservativa ha successo, è importante prevenire successive recidive attraverso il percorso riabilitativo, volto al riequilibrio della muscolatura della spalla, alla decontrazione della muscolatura cervicale, alla rieducazione posturale per quanto riguarda il rachide e la spalla. Migliorare le prestazioni del distretto cervicale, di spalla, braccio, avambraccio e una buona igiene posturale comportano un minor rischio di recidive. In ultimo, da non dimenticare di eliminare, ridurre o modificare il gesto lavorativo o sportivo che ha condotto alla infiammazione tendinea, al fine di incorre in spiacevoli recidive della patologia.