Chirurgia della mano e dei nervi Brescia
Centro di Chirurgia della Mano e Microchirurgia Ricostruttiva dei Nervi Periferici presso l’Istituto Clinico Città di Brescia (Gruppo San Donato)

L’epicondilite o gomito del tennista

L'epicondilite: intervento chirurgico

Quando le terapie conservative e i tentativi di modifica del gesto sportivo o lavorativo non hanno successo ed il dolore rimane inalterato o si riacuisce nell’arco di pochi mesi, allora si passa alla chirurgia. Nel caso, invece, in cui l’epicondilite si ripresenti a distanza di 8-12 mesi è ipotizzabile un nuovo tentativo conservativo, anche se potrebbero fare eccezione coloro che accusano dei sintomi particolarmente dolorosi o che presentino un’elevata richiesta funzionale. Il trattamento chirurgico può essere effettuato sia in anestesia loco-regionale che in anestesia locale in day hospital, a seconda dei casi.

L’intervento consiste in una incisione di pochi centimetri nella zona di inserzione tendinea patologica (epicondilo esterno), con l’obiettivo di eseguire una bonifica del tendine malacico e degenerato, facilmente identificabile per la sua colorazione opaca o giallastra. In altre parole, il tendine ha perso la sua struttura fisiologica che non gli consente più una tenuta meccanica alle sollecitazioni muscolari. Generalmente il tendine maggiormente colpito è l’estensore radiale breve del carpo alla sua inserzione ossea ed è proprio in questo punto che è diretto il gesto di bonifica chirurgica. A volte però la degenerazione tendinea colpisce altri tendini, come l’estensore comune delle dita o l’estensore ulnare del carpo. In questi casi è necessario eseguire la bonifica di questi tendini. Nei casi più gravi, dove il danno tendineo è a tutto spessore, ovvero raggiunge il sottostante piano capsulare, a volte lacerandolo, è necessario procedere con la copertura della breccia con un lembo di muscolo anconeo. Non si fa altro che staccare in parte un piccolo muscolo che si trova nella porzione inferiore del gomito che viene ruotato verso l’alto a coprire la breccia tendinea. Il muscolo con la sua vascolarizzazione e il suo spessore, fornisce protezione meccanica e nutrimento.

Figura 1

A – Disegno dei muscoli epicondiloidei all’inserzione ossea dove è illustrata l’infiammazione. Sono disegnati i muscoli estensore radiale lungo del carpo (1); l’estensore radiale breve del carpo (2); l’estensore comune delle dita (3); l’estensore ulnare del carpo (4). La linea nera tratteggiata rappresenta una possibile linea di incisione chirurgica.
B – Indentificato il tendine estensore radiale breve del carpo, viene eseguita l’asportazione del tessuto patologico sia al livello tendineo che a livello osseo.
C,D – Disegno al termine della procedura chirurgica con la sutura tra i due tendini.

Figura 2

A – Disegno di una grave epicondilite o di una epicondilite recidiva dopo un primo intervento chirurgico. Muscolo anconeo (1).
B – Il muscolo anconeo viene in parte staccato dall’osso e ribaltato a copertura della zona di danno tendineo – lembo di anconeo (2).

Decorso post-operatorio

Nel post-operatorio, il paziente viene immobilizzato per 21 giorni a scopo antalgico e per permettere ai tessuti operati di guarire. Segue, quindi, la rieducazione funzionale e fisioterapica. La riabilitazione è volta sia al controllo del dolore, sia al trattamento della cicatrice, sia al recupero del movimento articolare. La rieducazione funzionale deve essere lenta e graduale e affidata a terapista competente. Una riabilitazione aggressiva e veloce, unitamente ad un paziente poco paziente con fretta di guarire, sono le cause più comuni di fallimento. In circa l’85-90% dei casi, il trattamento chirurgico risulta risolutivo. Nel 10-15% dei casi il paziente ha una recidiva e lamenta nuovamente dolore. Quando la recidiva si manifesta dopo un lungo periodo dal trattamento chirurgico, si possono ripetere le terapie conservative, trattando l’epicondilite come fosse un primo episodio. Diversamente, se si manifesta in maniera anche violenta a pochi mesi dall’intervento, è necessario procedere con un nuovo trattamento chirurgico con le metodiche già descritte sopra e associando, qualora non già impiegato nell’intervento primario, la copertura del tendine degenerato con un lembo di muscolo anconeo.
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