Medicina difensiva

Medicina difensiva, la paura dei dottori che ci costa 10 miliardi (2/2)

Restando in tema di medicina difensiva è bene osservare come l’effetto di questa tendenza, che si estende a visite specialistiche ed esami di laboratorio, produca un significativo allungamento delle liste di attesa, oltre a procurare danni derivanti dalla prescrizione inappropriata di farmaci, per esempio antibiotici o gastroprotettori dati solo “per copertura” in mancanza di una vera indicazione medica. Non meno controproducenti anche gli effetti di una concezione miracolistica della medicina, in cui a tutti i livelli, dai ricercatori ai media, dai medici alle autorità sanitarie, la comunicazione sulla salute pone sempre l’enfasi sui benefici di ogni pratica, lasciando in secondo piano i suoi rischi. Diventa difficile quindi per le persone capire che un effetto collaterale indesiderato o una complicanza può insorgere anche senza che vi sia colpa da parte di qualcuno, o addirittura a seguito di esami e trattamenti non necessari. Tutti pensano sempre che sia solo questione di soldi ed è innegabile che la medicina difensiva (cioè le pratiche mediche attuate non per la salute del paziente ma per proteggersi da eventuali ritorsioni legali) costi. Una ricerca di Agenas stima che l’impatto economico di questa approccio medico comporterebbe un esborso di 9-10 miliardi, superiore al 10% della spesa sanitaria nazionale e allo 0,75% del Pil. Come dire che ogni italiano paga 165 euro l’anno di tasse solo perché i medici si sentano al sicuro. Del resto è bene ricordare come la medicina difensiva genera un sovrautilizzo di servizi e prestazioni sanitarie (farmaci, test di laboratorio e strumentali, visite specialistiche, ricoveri) che contribuisce in maniera significativa agli sprechi in sanità.
Esiste però anche la medicina difensiva passiva che non è meno dannosa per il paziente. Si tratta dei molti casi in cui, per evitare guai, si rinuncia a sottoporre il paziente a una procedura potenzialmente rischiosa, anche in assenza di alternative meno pericolose. Le paure dei medici, però, non sono ingiustificate: i dati forniti da una novantina di procure alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, dicono che i procedimenti per lesioni colpose a carico di personale sanitario erano al 2011 circa 900 e quelli per omicidio colposo 736. Tutti casi di malasanità? Secondo i giudici no, dal momento che praticamente tutti finiscono con un’archiviazione: su 240 casi di lesione, si sono registrate solo 2 condanne e una assoluzione; su 117 procedimenti per omicidio colposo giunti a conclusione, si rilevano una assoluzione, nessuna condanna e il 99,1% di archiviazioni. Come uscire da questa impasse? Bisogna abbandonare l’idea che la medicina sia un’arte ma aderire ai principi e alle procedure di provata efficacia secondo la letteratura scientifica internazionale. In questa linea va il Decreto sulla responsabilità professionale dei medici che dovrebbe essere definitivamente approvato entro la fine di quest’anno, secondo cui in tribunale ci si dovrebbe basare sulle linee guida prodotte da società scientifiche, enti, istituzioni pubbliche e private e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie. Secondo la nuova norma, il medico non potrà essere riconosciuto colpevole se si sarà attenuto alle linee guida previste dalla sua specialità, tranne per aspetti specifici relativi al caso in questione. (Fonte: pagina99.it)

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