Sono sempre più numerosi i pazienti che ricorrono ai tribunali. Per far fronte a questa tendenza ma soprattutto per difendere il proprio operato, i dottori tendono a prescrivere più esami evitando gli interventi più rischiosi. Un circolo vizioso che inevitabilmente pesa sui conti statali. Generalmente, se nel rapporto tra medico e paziente si infiltra la prospettiva di finire in tribunale, a perderci è il malato, ma anche il Paese nel suo insieme. Subentra, infatti, la cosiddetta medicina difensiva e le scelte cliniche non sono più determinate dalle reali esigenze del malato ma sono dettate dalla necessità di coprirsi le spalle nel caso qualcosa andasse storto. Non si tratta di casi eccezionali, ma di un clima che pervade sempre di più ambulatori e ospedali. In uno studio pilota condotto un paio di anni fa in Lombardia, Marche, Sicilia e Umbria, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e il ministero della Salute hanno intervistato quasi 1.500 medici ospedalieri: ben 6 su 10 hanno ammesso di praticare la medicina difensiva e quasi tutti hanno concordato che il fenomeno è in crescita. Ma esaminiamo qualche caso pratico… In un grande ospedale chiunque abbia vaghi sintomi di appendicite viene sottoposto ad una Tac. Un esame necessario? Assolutamente no. Ma serve a garantire alla struttura la documentazione necessaria per sollevarsi da ogni responsabilità nel caso succedesse qualcosa. Il paziente al momento può anche essere soddisfatto di tanta scrupolosità, ma in cambio si porterà a casa una dose di radiazioni di cui avrebbe potuto fare tranquillamente a meno. Lo stesso vale per la cattiva abitudine di sottoporre ogni mal di schiena al vaglio della risonanza magnetica: niente radiazioni, qui, ma il rischio di trovare piccole ernie del disco, che non avrebbero mai procurato danni e che così invece possono portare il paziente fino alla sala operatoria, con tutto ciò che ne consegue, anche in termine di rischi.
(Fonte: pagina99.it). Se ti interessa questo argomento, non perderti il prossimo approfondimento.